Edmond Locard. L’investigazione tra arte e tecnica

1. Formazione culturale

Edmond Locard nacque a Saint-Chamond nella Loira il 13 dicembre 1877. Suo padre Arnould aveva studiato presso la Scuola Centrale delle Arti e Manifatture di Parigi, divenendo ingegnere nel 1866. Ritiratosi presto dall’attività, si dedicò alle scienze naturali, sua risalente passione. Pubblicò numerosi studi e divenne prima membro e poi presidente dell’Accademica di Scienze, Lettere ed Arti di Lione. La madre di Edmond, Marie Gilbert de Sanne Vières, donna di grande cultura, trasmise al figlio l’amore per la musica ed il teatro.

Nel 1879, dopo la nascita della sorella di Edmond, Marguerite, la famiglia Locard si trasferì a Lione, dove il giovane iniziò i suoi studi.

Il suo percorso scolastico fu assai brillante, Edmond dimostrò da subito una notevole vivacità intellettuale. Nel 1887 fu iscritto al collegio San Tommaso d’Aquino presso Oullins, dove, sotto la guida dei padri domenicani, coltivò con particolare interesse lo studio delle lingue antiche.

Nel 1894 ottenne un doppio diploma, in Lettere e Scienze, coniugando felicemente l’influenza letteraria su di lui esercitata dalla madre con quella scientifica proveniente da suo padre. Come vedremo, tale duplice influenza segnerà in modo decisivo tutta la sua vita, ispirando e nutrendo costantemente il suo approccio eclettico all’investigazione criminale.

Scelse, quindi, di iscriversi alla facoltà di Medicina dell’Università di Lione, istituita poco tempo prima, con la legge dell’8 dicembre 1874. Inizialmente, si orientò verso la chirurgia ortopedica, sotto la guida del professor Ollier. Alla morte di questi, Edmond decise di cambiare specializzazione.

Grazie all’incontro occasionale con il patologo forense e criminologo Alexandre Lacassagne, docente associato alla Val-de-Grace di Parigi e titolare della cattedra di medicina legale a Lione, il giovane Edmond decise di dedicarsi a ciò che riteneva “la più eclettica delle scienze mediche, la meno settoriale, quella che è in rapporto con la maggior parte delle scienze conosciute.”

In proposito, scriverà: “non è forse prerogativa della medicina legale stabilire se una nascita è precoce o tardiva, spiegare certi atti all’apparenza incoerenti e bizzarri, confutare fantasiose teorie sugli avvelenamenti e scagionare degli innocenti? Non sta forse a noi insegnare che, nelle case principesche, le unioni tra parenti favoriscono l’estinzione delle dinastie per progressiva degenerazione genetica?”

Il 17 marzo 1902, discusse la tesi in medicina legale su un tema caro al suo relatore Lacassagne: La médicine légale sous le Grand Roy.

Dopo la laurea, fino al 1910, Locard collaborò con Lacassagne nel laboratorio di patologia forense diretto da quest’ultimo e fu redattore della rivista Archives d’Anthropologie Criminelle, fondata dallo stesso Lacassagne.

Ricordando il suo maestro, Locard annotò: “[Lacassagne] era un lavoratore instancabile. Collaborare con lui significava avere ben poco tempo per le distrazioni. Un giorno che lo accompagnavo, fummo sorpresi da un violento temporale, che ci costrinse a cercare riparo in un omnibus. La pioggia continuava ad aumentare di intensità e Lacassagne prese una rapida decisione: ‘Non perdiamo tempo senza far niente. Nella mia borsa ho degli opuscoli stranieri, in particolare il testo di un collega argentino sull’identificazione dei recidivi. In attesa che smetta di piovere, leggetelo in fretta e fatemene un breve resoconto …’.”

Fu, inoltre, lo stesso Lacassagne a suggerire a Locard di ampliare la sua formazione dedicandosi, tra l’altro, a studi di diritto. Il giovane conseguì, dunque, anche la laurea in giurisprudenza, nel 1905.

Nel frattempo, non trascurava le proprie ricerche di criminologia, criminalistica e patologia forense. Nel 1906 prese parte al VI Congresso di Antropologia Criminale, che si svolse a Torino e fu l’occasione, per Locard, di incontrare alcuni tra i più autorevoli operatori del settore allora in attività: Cesare Lombroso, Alphonse Bertillon e Rodolphe Archibald Reiss, di cui, negli anni successivi, approfondì i metodi investigativi, visitando i laboratori da essi creati e diretti.

Al Congresso del 1906, il giovane criminalista propose un contributo intitolato Les services actuels d’identification et la fiche internationale nel quale, con notevole lungimiranza, auspicava l’internazionalizzazione della lotta alla criminalità, negli obiettivi e nei metodi: “Al crimine internazionale, il più pericoloso ed il solo a rimanere costantemente impunito, è necessario opporre una polizia internazionale.”

Nel 1909 Locard pubblicò il suo primo studio, L’identification des récidivistes, basato sulle sue approfondite ed articolate ricerche in materia.

 

2. Il laboratorio di Lione e il principio di interscambio

Il 1910 fu un anno particolarmente significativo, nell’esistenza del criminalista lionese e per gli sviluppi delle scienze forensi: a gennaio Locard riuscì a costituire un proprio laboratorio in grado effettuare ogni tipologia di indagine scientifica, il primo del suo genere. In questa coraggiosa ed innovativa impresa fu sostenuto dal commissario Cacaud della polizia di Lione, che gli permise di allocare il laboratorio nelle soffitte del Palazzo di Giustizia locale, sito nel quartiere Saint-Jean.

Al laboratorio lavorava inizialmente una ridottissima equipe composta da una guardia campestre ed un agente di polizia. Fu innanzi tutto inaugurato il servizio antropometrico, con il compito di realizzare e classificare i cartellini segnaletici secondo i criteri fissati da Bertillon (misurazione di determinate ossa, elaborazione del codice antropometrico identificativo, portrait parlé, ecc.).

Entro l’anno, Locard arricchì a proprie spese il laboratorio delle più moderne attrezzature per l’investigazione scientifica e per l’elaborazione del materiale analizzato in una prospettiva giudiziaria: tra esse, un apparecchio microfotografico, in grado di fissare su supporto cartaceo gli esiti dell’osservazione microscopica, utile quindi a produrre in sede processuale risultanze analitiche altrimenti destinate a rimanere confinate in laboratorio; una lampada di Wood, indispensabile per l’analisi dei documenti ed uno spettroscopio per l’analisi delle macchie di sangue.

Nel 1912, Locard elaborò e sperimentò la poroscopia, una nuova tecnica di analisi dattiloscopia, volta non allo studio della morfologia delle creste papillari dell’impronta digitale ma – più approfonditamente – dei pori presenti su ciascuna cresta. Questi risultarono presentare, infatti, peculiarità assai utili nell’indagine criminalistica: immutabilità; assenza di modificazioni connesse alle modalità di contatto dell’impronta digitale con una superficie; notevole variabilità di forma, di dimensione, di posizionamento all’interno della cresta e di numero.

Dopo la prima guerra mondiale, nel corso della quale fu medico militare ed offrì il proprio contributo anche alla decrittazione dei messaggi in codice dei nemici, Locard tornò ai suoi studi ed alla sua attività di criminalista.

Nel 1919 divenne membro, come lo era stato suo padre, dell’Accademia lionese di Scienze, Lettere e Arti. Anni dopo, ne diverrà il presidente. Nel suo primo discorso in tale sede, enunciò per la prima volta in modo esplicito quello che sarebbe in seguito divenuto noto proprio come il “principio di interscambio”, fondamento programmatico e paradigma dell’investigazione scientifica: l’autore di un crimine lascia invariabilmente tracce di sé sulla vittima e sulla scena e prende su di sé tracce di queste. Scopo della criminalistica sarà, dunque, proprio quello di ricercare ed identificare tali tracce al fine di ricostruire la dinamica del fatto criminoso ed individuarne il responsabile.

Nel 1921, Locard inaugurò un museo specificamente dedicato all’attività di ricerca delle tracce e delle prove nell’ambito del processo penale, che raccoglieva materiale proveniente dal suo laboratorio e donato da analoghe strutture nel frattempo sorte in molti Paesi del mondo. Una delle sue quattro sale fu dedicata a Cacaud, il funzionario di polizia che permise al criminalista di realizzare il suo laboratorio.

 

3. Il “corvo” di Tulle

Gli abitanti della cittadina francese di Tulle avevano iniziato a ricevere, fin dal 1917, lettere anonime dal contenuto infamante, i cui destinatari venivano accusati delle azioni più abiette, soprattutto a carattere sessuale. Ciò non aveva, ovviamente, mancato di creare un clima di malignità e di sospetto.

Nel 1922, Edmond Locard si interessò del caso ed esaminò più di trecento lettere anonime, comparandone la grafia in stampatello con cui erano state vergate con quella di una giovane del luogo di nome Angèle Laval – sospettata di esserne l’autrice – e con quella di sua madre, con la quale la giovane viveva.

Nella sua analisi, il criminalista impiegò il metodo grafoscopico, da lui stesso elaborato, che ricomprendeva l’esame della forma delle lettere, la rilevazione delle caratteristiche generali della scrittura e, infine, l’identificazione ed il confronto delle forme lessicali impiegate.

Per ottenere campioni della grafia dalla sospettata, Locard fece scrivere la giovane donna sotto dettatura per quasi un giorno intero, sottraendole subito i fogli appena riempiti. La sospettata ebbe ripetute crisi isteriche.

L’analisi rivelò che la scrittura della maggior parte delle lettere anonime apparteneva alla ragazza: nei saggi di comparazione, questa aveva tentato di improvvisare la dissimulazione di certi suoi tratti grafici peculiari, non riuscendovi sempre nella stessa maniera. Il suo modo di tracciare la lettera “y”, inoltre, rivelava delle evidenti caratteristiche distintive.

Con lo stesso procedimento analitico-comparativo, Locard stabilì, poi, che le lettere non redatte dalla giovane erano attribuibili alla madre.

Dalla vicenda di Tulle – forse il caso criminale più noto tra quelli in cui Locard fu coinvolto in qualità di consulente investigativo – il regista Henri-Georges Clouzot trasse Il corvo (1943), uno dei capolavori del cinema francese.

Gli studi di Locard in materia di analisi della grafia approdarono, tra l’altro, alla creazione del grafoscopio, un microscopio bioculare che consentiva la visione comparata dei reperti da confrontare, dal 1925 prodotto in serie.

Lo stesso anno, lo svedese Harry Soederman (1902-1956), allievo di Locard, suo amico e collaboratore presso il laboratorio di Lione, inventò l’Hastoscope, precursore del microscopio comparatore per l’analisi di proiettili e bossoli.

Di lui, che aveva sposato l’eclettismo e l’entusiasmo per la ricerca propri del maestro, lo stesso Locard, scriverà: “aveva imparato ben altre cose, oltre all’arte di scoprire i malfattori e di smascherarli: chimico, grafologo, prodigiosamente poliglotta, ricco di immense letture, aveva accumulato nel suo cervello eccezionale ciò che avrebbe fatto la ricchezza di venti intelligenze superiori”.

4. Ricerca, attività didattica, divulgazione scientifica. E altro

Da sempre profondo estimatore di Arthur Conan Doyle e del suo Sherlock Holmes, nel gennaio 1927 Locard scrisse all’autore scozzese: “È stato grazie a voi che ho iniziato le mie ricerche e che ho scelto la mia professione. Ho spesso tratto ispirazione dai vostri scritti. In particolare, l’analisi delle microtracce – una delle tipologie di indagine maggiormente approfondita nel laboratorio di Lione – mi è stata suggerita dal vostro Sherlock Holmes. Quando i giovani mi chiedono di consigliare loro delle letture che li introducano all’investigazione criminale, io indico loro Sherlock Holmes prima di Reiss, Lacassagne o Gross. E forse vi sarà gradito sapere che ho intitolato a voi una sezione del laboratorio.”

Nel 1929, il criminalista lionese fu, con il citato Soederman, tra i fondatori dell’Accademia Internazionale di Criminalistica e della Revue Internationale de Criminalistique, di cui fu redattore capo e, successivamente, direttore.

Nel 1931, Locard pubblicò i primi due dei sette volumi del suo monumentale Traité de Criminalistique.

Nell’introduzione all’opera, definì gli ambiti operativi della disciplina e le sue peculiarità: “Parlo di tecnica e ribadisco il concetto. Perché una simile materia è propriamente un’arte, non una scienza e, dunque, si basa su metodi, direi quasi su delle ricette, non su delle leggi. Chiameremo, dunque, tecniche di investigazione l’insieme dei metodi – mutuati dalla biologia, dalla fisica, dalla chimica e, in misura minore, dalla matematica (i fondamenti teorici della crittografia) – che permettono l’individuazione delle prove di un crimine.”

L’opera fu accolta come un fondamentale, irrinunciabile punto di riferimento per chiunque praticasse l’investigazione scientifica.

Per sottolineare l’autonomia della criminalistica da altre discipline tese allo studio del fenomeno criminale, nel 1934 Locard propose anche l’attivazione di un corso di studi superiori specialistico in materia.

Negli anni Quaranta, insegnò presso la Scuola Nazionale Superiore della Polizia di Saint-Cyr, a Mont d’Or, con suo figlio Jacques, chimico di notevoli capacità, che avrebbe dovuto succedergli alla direzione del laboratorio e che, affetto da cardiopatia, morì precocemente il 24 novembre 1952.

Gli interessi di Locard non si limitarono alla criminalistica ed alle scienze forensi. Si dedicò anche alla narrativa, scrivendo numerosi romanzi polizieschi ispirati ai casi criminali studiati da lui e dai suoi collaboratori del laboratorio lionese (la serie delle Causes Célèbres). Da sempre amante della musica, fu violinista e membro della giuria del Conservatorio di musica e canto di Lione; contribuì alla diffusione di Wagner in Francia, collaborò alla Revue Musicale de Lyon, fondata da Léon Vallas e, come critico musicale, al Lyon Républicain. Praticò la filatelia e, nel 1942, pubblicò Manuel du philatéliste, testo considerato particolarmente autorevole dagli esperti del settore. Il 21 gennaio 1949 fondò l’Accademia della Mosca Bianca, che riuniva personalità lionesi con interessi letterari, musicali ed artistici in generale.

Fu un uomo assai socievole. Dirà: “Si può sopportare tutto nella vita tranne che la solitudine e non vi è niente di più prezioso che una cerchia di amici fedeli.”

Profondamente cattolico, offriva spesso consulenze e visite mediche gratuite. Morì a 89 anni, il 4 maggio 1966.

Nella sua lunga esistenza terrena, esplorò e praticò, con inesauribile curiosità e trascinante entusiasmo, ogni aspetto dell’investigazione proprio grazie all’assoluto eclettismo ed alla spiccata duttilità della sua indole, alla sua vocazione in pari tempo di umanista e di scienziato, di artista e di analista. Vocazioni in lui mai contrapposte e conflittuali ma, al contrario, mirabilmente armonizzate e sintetizzate. Alphonse Daudet scrisse di Lacassagne: “Non era un uomo, era un mondo”. Definizione, questa, senza dubbio riferibile anche al suo allievo Edmond Locard.

(Estratto dal volume Dalla scena del delitto al criminal profiling. Temi di investigazione criminale, EdUP, Roma, 2015).


Larriaga M., La fabuleuse histoire d’Edmond Locard, flic de province, Editions des Traboules, 2007.

Locard E., L’enquete criminelle et le méthodes scientifiques, Flammarion, 1920.

Locard E., Journal de guerre aux états-Unis en 1918. Mission Justin Godart, Editions des Traboules, 2007.

Locard E.; Corvol, R., Mémoires d’un criminologiste, Fayard, 1957.

Mazevet M., Edmond Locard, le Sherlock Holmes français, Editions des Traboules, 2006.

Soederman H., Policeman’s Lot. A Criminalist’s Gallery of Friends and Felons, Funk & Wagnalls, New York, 1956.

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