Il Mostro di Udine. Un “cold case” ancora irrisolto

Premessa

Tra gli anni ’70 e gli anni ‘80 Udine è stata luogo di efferati omicidi compiuti da un soggetto tuttora ignoto che rapiva, strangolava e sgozzava donne. Se ancora oggi non è stato possibile dare un’identità al mostro che si aggirava nelle zone periferiche durante i temporali serali può comunque essere utile stilare un profiling del killer.

Cosa è accaduto

Appare innanzitutto opportuno chiarire che sebbene sono stati ritenuti 13 i possibili omicidi compiuti dal mostro, un collegamento certo può trarsi solo tra 4 omicidi avvenuti tra il 1980 ed il 1989. Cercando di ripercorrere le vicende, la serie di omicidi collegati è iniziata con il ritrovamento del corpo di Maria Carla Belloni di 19 anni; la donna era stata strangolata, sgozzata e presentava 1 taglio che attraversava l’addome sino alla vagina con esclusione dell’ombelico; la mano del killer appariva esperta, infatti il taglio era deciso e pertanto si pensava potesse essere stato praticato da un medico/chirurgo e la propensione per tale tesi sorgeva anche avendo riguardo allo strumento utilizzato che non era un mero coltello ma un bisturi.

Nel 1983 veniva ritrovata Luana Gianporcaro uccisa allo stesso modo (strangolamento e sgozzamento) ma con 2 tagli verticali sempre praticati sull’addome fino alla vagina con esclusione dell’ombelico; stessa terribile sorte per Aurelia Januschewitz nel 1985 che però presentava 3 tagli verticali della medesima lunghezza e sempre con esclusione dell’ombelico; infine nel 1989 Marina Lepre veniva ritrovata strangolata e sgozzata e presentava un piccolo taglio laterale indeciso.

Il collegamento degli omicidi e la conseguente ipotesi di un killer seriale

Gli inquirenti partirono proprio dall’analisi di quest’ultimo caso per ritenere che come i tre precedenti fossero stati commessi dallo stesso soggetto.

Certamente se poniamo l’attenzione sul modus operandi c’è una completa corrispondenza sia per quanto concerne la modalità dell’uccisione sia per quanto attiene a quella che potremmo ritenere la firma del killer ossia i tagli verticali sull’addome; addirittura si potrebbe ritenere che la ritualità del killer non solo venisse dallo stesso mantenuta durante gli omicidi ma aumentasse passando da un taglio a due tagli e poi a tre tagli; la quarta vittima presentava a differenza delle precedenti solo un piccolo taglio laterale sempre però effettuato con il medesimo strumento (il bisturi) e ciò potrebbe indurre a pensare che il killer sia stato disturbato ed abbia dovuto abbandonare il luogo del delitto prima di completare il consueto rituale.

Anche la “scene crime” appare coerente in quanto si tratta sempre di un luogo periferico, particolarmente fangoso sicuramente anche perché le uccisioni avvenivano durante notti di piogge.

Ritenendo quindi esistente una corrispondenza di locus commissi delicti, di modus operandi e di profilo geografico bisogna altresì precisare che anche l’analisi vittimologica porta a ritenere esistente il collegamento; Bellone, Giamporcaro e Januschewitz erano tutte e tre prostitute, la prima tossicodipendente e le altre due alcoliste; la Lepre sembra fuoriuscire dallo schema perché era invece una maestra di scuola elementare, tuttavia anche lei aveva problemi di alcool e frequenti rapporti occasionali.

La vittimologia aiuta a ricostruire anche quello che potrebbe essere il movente del killer o in termini più semplici ad inserirlo all’interno di una categoria ben precisa che è quella dei serial killer missionari; questi ultimi rivelano una coazione ad uccidere solo determinate tipologie o categorie di soggetti, non risultano essere degli psicotici e decidono consapevolmente di attuare i propri propositi; la scena appare controllata e si rinviene l’utilizzo di armi violente come appunto armi bianche. La scelta da parte del killer missionario delle sue vittime avviene sulla base di chi a suo giudizio deve essere eliminato dalla società (prostitute, spacciatori, barboni, omosessuali ecc.).

Tutto ciò porta a dedure come il mostro di Udine potesse essersi dato il “compito” di eliminare le donne che a suo giudizio non meritavano di restare nel contesto sociale perché si prostituivano, avevano problemi di droga o di alcool.

Gli inquirenti provano a dare un volto al mostro di Udine

È nel 1989 dopo la morte di Marina Lepre che due carabinieri tornando sul luogo del delitto sentirono una voce in lontananza e seguendola giungevano presso la chiesa di San Bernardo dove era presente un uomo di circa sessant’anni, in stato confusionale e che rivolgendo le mani verso il cielo chiedeva perdono.

L’uomo disse di essere un ginecologo e i carabinieri lo accompagnarono presso la sua abitazione in cui risiedeva anche il fratello che si presentava con la qualifica di avvocato.

Le indagini apparivano solide in quanto il mestiere dell’uomo sembrava compatibile con i tagli praticati alle vittime, tra l’altro la specializzazione era in ostetricia e all’epoca i tagli per i parti cesarei erano effettuati proprio verticalmente; una vecchia pratica che risaliva al 1945 era inoltre quella di effettuare cesarei post-mortem alle prostitute per permettere di sotterrare il feto. Una testimone oculare aveva anche affermato di aver visto il ginecologo uscire da un ristorante, prendere una tovaglia dal bagagliaio, dirigersi verso un torrente e poggiarla sopra un masso così da poterla tagliare con attrezzi chirurgici come se stesse effettuando un’operazione.

L’uomo aveva inoltre subìto un forte trauma da giovane poiché aveva un secondo fratello che era morto annegato ed aveva mostrato segnali di schizofrenia dopo essere stato tradito dalla sua fidanzata con il fratello avvocato; il doppio tradimento fu per lui terribile tanto che venne ricoverato presso un manicomio in cui per curarlo gli veniva praticato l’elettroshock.

A seguito di un lungo periodo di intercettazioni telefoniche, gli inquirenti ne ascoltarono una che appariva piuttosto sospetta atteso che il fratello avvocato riferiva al suo interlocutore che il temporale della sera prima lo aveva costretto a chiudere in una stanza il fratello medico che stava molto male come ogni volta in cui c’erano queste condizioni meteorologiche. Nel 1996 venne quindi autorizzato un mandato di perquisizione e vennero trovati gli arnesi chirurgici ma non risultava presente il bisturi; tuttavia nel 1997 il GIP riteneva che tutto ciò avesse carattere meramente indiziario e dispose l’archiviazione.

I possibili ulteriori omicidi del mostro di Udine

La storia del mostro di Udine potrebbe essere iniziata negli anni ’70 con l’uccisione di altre donne:

nel settembre 1971 Irene Belletti prostituta accoltellata;

nel settembre 1976 Maria Luisa Bernardo prostituta accoltellata;

nel settembre 1979 Jaqueline Brechbullher prostituta accoltellata;

nel maggio 1984 Maria Bucovaz strangolata con una calza di nylon;

nel settembre 1984 Matilde Zanette strangolata con una calza di nylon;

nel dicembre 1984 Stojanka Joksimovic strangolata con una calza di nylon.

Ipotesi criminologiche

Ritengo tuttavia che mentre per i primi quattro omicidi analizzati appare del tutto certo che si tratti di un unico killer, non può dirsi lo stesso per gli altri.

Le uccisioni del 1971, 1976 e 1979 sembrerebbero compatibili con le altre 4 per la vittimologia ma non lo sono invece per il modus operandi in quanto la morte è avvenuta per accoltellamento e non per strangolamento; non hanno inoltre subìto sgozzamento né si evincono tagli praticati con il bisturi nella zona addominale; tuttavia appaiono tutti e tre collegati tra loro quindi potrebbero essere stati commessi dallo stesso soggetto ma non dal mostro di Udine e ciò potrebbe essere probabile non solo perché tutti e tre gli omicidi presentano medesima vittimologia e modus operandi ma anche per un particolare non da sottovalutare ossia il periodo in cui sono stati commessi: tutti nel mese di settembre.

A volte, infatti, gli omicidi vengono ripetuti in uno stesso mese dell’anno perché questo evoca un ricordo traumatico che spinge il soggetto all’azione deviante.

Per quanto concerne i tre omicidi del 1984 si può giungere ad una conclusione simile in quanto tutti e tre compiuti con lo stesso modus operandi che tra l’altro è anche particolare in quanto viene sempre utilizzata una calza di nylon e poi tutti compiuti in un arco di tempo ben più ristretto rispetto a quelli attribuiti al mostro di Udine.

Il soggetto in questione mostra un’esigenza di uccidere tanto che l’azione criminosa è ripetuta dopo pochi mesi mentre il mostro di Udine compie omicidi sempre a distanza di anni l’uno dall’altro. Per questi motivi ritengo che anche questi tre delitti possano ritenersi tra loro collegati ma non attribuibili al mostro di Udine.

Infine è importante ricordare come all’epoca dei fatti non si avessero degli strumenti di indagine all’avanguardia motivo per il quale non è stato possibile analizzare scientificamente prove rinvenute sulle scene del crimine come profilattici usati, capelli, mozziconi di sigarette che avrebbero potuto aprire strade investigative diverse e fornire prove, non solo elementi indiziari.

Conclusioni

Concludendo sul profilo criminologico, il mostro di Udine rientra nella specifica categoria dei serial killer missionari sessuologici-moralisti e si potrebbe ritenere che sia un soggetto che abbia subìto pesanti frustrazioni tanto da voler estrinsecare una volontà di potenza compensatoria.

Un uomo quindi caratterizzato dal cosiddetto “se grandioso patologico”; in termini semplici il soggetto tende a compensare ciò che ha vissuto, per esempio potrebbe aver avuto genitori alcolisti o tossicodipendenti o la mamma che si prostituiva, e si pone come colui che può “ripulire” la società da tutto ciò che ha sempre vissuto come malvagio; nella sua concezione è un eroe in quanto si percepisce come  colui che deve ripristinare l’ordine ed il bene nella società; ciò non significa che sia un soggetto incapace di intendere e volere ma al contrario è pienamente consapevole ed assolutamente in grado di comprendere il disvalore delle sue azioni ma ha comunque una missione da compiere e solo questo è importante.

Il mostro di Udine, tuttavia, non ha ad oggi un volto e sebbene questa vicenda non abbia suscitato un forte interesse mediatico può affermarsi con certezza l’esistenza di un altro serial killer italiano.

Dott.ssa Ludovica Mancini

 

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